BOCCIARE O NON BOCCIARE? QUESTO NON É IL VERO DILEMMA
Fine anno scolastico, tempo di bilanci.
Prima di partire per le vacanze bisogna che dare e avere arrivino almeno a parità, è per questo che i giorni di scrutinio sono così densi e caldi.
Non ci sarebbe un motivo, a pensarci bene.
Dopo nove mesi di lezioni, compiti, interrogazioni e soprattutto di relazione, può realmente esserci un dubbio risolvibile in due ore di discussione in consiglio di classe?
Luca, 17 anni, uno dei tanti.
Va a scuola, come si diceva ai miei tempi, «solo per scaldare il banco», sempre pronto alla provocazione e allo sfottò dei professori, per sancire, caso mai qualcuno se ne fosse dimenticato, chi comanda in classe.
E hanno ragione, lui e tutti i suoi compagni, ormai i professori sono stati disarmati quasi completamente e più che a simboli di cultura e d’autorità finiscono per somigliare a quei pupazzi delle fiere, messi lì per vedere con quante palle di pezza si riesce a buttarli giù.
Sì, hanno ragione, tolto lo spauracchio delle interrogazioni (ma quale adolescente studia per amor di cultura?), tolti gli esami a settembre, tolto il sette in condotta, e tolti i rari casi dei professori carismatici e seducenti che trascinano gli animi, in classe comandano i ragazzi, e come sempre succede quando il potere è in mano a chi non sa gestirlo, le cose precipitano.
Ma torniamo a Luca, Luca che consegna i compiti in bianco, perché trovare uno da cui copiare è sempre più difficile, Luca che falsifica le firme sul libretto delle assenze, tanto nessuno glielo chiede, Luca che con quattro interrogazioni «programmate» pensa di farla franca e va sbandierando il suo credo: «In questa scuola si riesce a prendere la maturità senza aprire nemmeno un libro».
Perché in sede di scrutinio si riesce a parlare due o tre ore di tutti i Luca come questo? Per questi ragazzi c’è una sola via di salvezza, una sana bocciatura, che renda il potere a chi di fatto ce l’ha (e dovrebbe saperlo gestire) e tenti di scardinare la loro certezza di essere maghi nell’arte dell’arrangiarsi e del tira a campà.
L’amore per la cultura verrà dopo, perché per amare qualcuno o qualcosa bisogna conoscerlo e il piacere di studiare lo si conosce solo dopo aver molto studiato, proprio come il piacere di suonare il piano non si trova nel far le scale con le dita inceppate o quello di montare un purosangue nel fare il giro del maneggio con il terrore di cadere.
Resta il fatto che di questi Luca si parla ore e ore e, in genere, si finisce per promuoverli.
Perché? Perché non si parla di Luca.
Bocciare Luca sarebbe un fatto ovvio, pulito, di cui ognuno non potrebbe non riconoscere la coerenza (Luca in testa) se... Se tutti avessero la coscienza pulita, se ognuno si prendesse le sue responsabilità: insegnanti, presidi, genitori.
Quanti insegnanti, privati di ogni potere contrattuale, hanno di fatto deciso di incrociare le braccia? Si sentono impotenti, molti hanno addirittura paura di entrare in classe, non ritengono che il loro stipendio li ripaghi di un esaurimento nervoso o di un infarto, allora vanno a scuola, fanno la loro spesso noiosissima lezione tra il disinteresse di tutti, concordano le interrogazioni, informano sull’argomento dei compiti in classe. Punto.
È ovvio che, al momento di bocciare, la coscienza si mette a parlare come il grillo saggio: se non avessi avuto paura, se avessi provato ad ascoltarli, se non avessi permesso che mi mancassero di rispetto...
E spesso quando si arriva a deciderlo (ma ci penseranno poi preside e genitori a cambiare le carte in tavola), è per rancore, astio, sete di vendetta, voglia di farla pagare, non certo per aiutare i ragazzi.
I presidi non vogliono problemi.
Due sono le cose che temono di più: perdere clienti (nel privato) e finire sui giornali (nel pubblico).
Una ventilata bocciatura fa scattare il segnale d’allarme su entrambi i fronti.
Abbastanza scarso il riconoscimento del potere e delle responsabilità che hanno nelle mani.
Quasi nullo il desiderio di ridare alla scuola la dignità e la rispettabilità che le sono essenziali.
I genitori. Poveri genitori.
Temono una bocciatura del figlio molto più di quanto abbiano temuto la propria a suo tempo, perché non sanno assolutamente come affrontarla.
In maniera magica sembra che una promozione, anche fasulla, anche pietita per ragioni psicologiche («Il ragazzo quest’anno ha avuto grossi problemi, siamo alle soglie di un esaurimento nervoso»; «Noi ci siamo separati e lui ha minacciato il suicidio»; «È morta la nonna, sa, mia figlia le era tanto affezionata», fino al più banale, «Si è innamorato, era la prima volta, non capiva proprio più niente») annulli improvvisamente tutti i problemi.
Capaci anche di regalargli il motorino in premio.
In caso contrario bisognerebbe fermarsi, prender atto che qualcosa non funziona, perderci magari anche la caparra del viaggio in Messico, che «mica possiamo portare a divertirsi un lazzarone così!». Ho conosciuto un padre che pur di non vedere si è raccontato una storia «Il prossimo anno: biennio!».
Anche se era evidente il desiderio di cancellare l’onta e il problema, ho provato a chiedere: «Perché? Perché se ci sono stati tutti questi intoppi in una scuola normale, alzare il tiro?».
«Perché mio figlio non è fatto per cose normali, lui è speciale e ha bisogno di cose speciali».
Ecco perché, dopo ore ed ore di scrutinio, molti ragazzi verranno promossi: per non creare problemi ai professori, ai genitori, ai presidi.
E ai problemi dei ragazzi, chi ci pensa?
Al loro bisogno di giustizia, di coerenza, di poter rispettare l’autorità, di sentirsi protetti, tutelati, contenuti?
Ma insomma, non si può mica avere tutto dalla vita! La maggioranza è contenta, siamo in democrazia, va bene così!
"ItaliaOggi", martedì 11 luglio 2000
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