Maria Silvia Nones Rapizza Maria Silvia Nones Rapizza nasce a Cles il 25 dicembre 1915, quando il Trentino era Tirolo. Studia a Innsbruck presso il liceo scientifico ma, causa la guerra, è costretta a conseguire il diploma magistrale per poter insegnare. Si iscrive poi alla facoltà di magistero presso l'università di Genova, ma non termina gli studi poichê preferisce iscriversi a ortofonia: una specializzazione della facoltà di medicina in cui consegue il diploma. La sua attività didattica, sempre sorretta da uno spirito pionieristico nella sperimentazione, ha sortito risultati sorprendenti nel recupero dei bambini in difficoltà o affetti da handicap grave. Il suo gruppo di studio, ha reperito e studiato una parte del vastissimo materiale documentale che la Rapizza ha lasciato, in particolare 36 videocassette su più di cento trovate e materiale cartaceo di supporto. Il materiale video non si configura come sussidio agli educatori, ma risulta essere un prezioso archivio di tutti i percorsi da lei sperimentati e quindi necessita di essere studiato e interpretato con molta attenzione, tanto che si può affermare che vi è ancora molto da scoprire di quel fenomenale bagaglio di “saperi” che la Nostra ha lasciato, saperi dalla straordinaria valenza pedagogica e dalla sorprendente attualità neuroscientifica, per percorsi di apprendimento relativi ad ogni fascia di scolarità. Alla fine dell’estate di quell’anno per le strade di Mori si era soliti incontrare qualche pattuglia di soldati tedeschi armati. Essi erano di stanza a Mori sull’ex piazzale della fiera, in via Terranera, nel palazzo Salvadori in via Teatro e nelle scuole elementari. Eravamo abituati a vederli nelle nostre strade, dove eseguivano anche esercitazioni militari. La mattina dell’otto settembre 1943, però mi ricordo benissimo, che incontrai in via Gustavo Modena una pattuglia di soldati tedeschi armati e al mio passaggio si fermarono, mi squadrarono per bene con fare sospettoso; io mi sentii in difficoltà, incapace di interpretare questo loro mutato atteggiamento nei nostri confronti. Solo la sera si seppe dell’armistizio tra l’Italia e la coalizione americana inglese e russa, per il quale da alleati diventammo loro nemici. Il giorno seguente apprendemmo quanto era accaduto la notte e accadeva ancora: assalto alle caserme italiane, i nostri soldati fatti prigionieri, rinchiusi in un primo momento in campi di raccolta provvisori, poi avviati nei campi di concentramento in Germania. Il giorno seguente un’insegnante di Mori, la signorina Maria Silvia Nones di Tierno ebbe un’idea veramente ardita; chiamò a raccolta un gruppo di ragazze dagli undici ai diciassette anni (fra queste c’ero anch’io) e le informò della situazione: i soldati italiani fatti prigionieri dai tedeschi, venivano deportati in Germania su treni merci o del bestiame, che transitavano per Mori Stazione. Noi dovevamo quindi aiutarli. Si decise subito che era necessario portare a questi amati e poveri soldati prigionieri da mangiare e soprattutto farsi dare gli indirizzi delle loro famiglie per informarle della futura destinazione e prigionia in terra germanica. La mattina dopo il punto di ritrovo fu a Molina: otto coraggiose ragazze armate di cesti pieni di panini imbottiti, carte e matite, marciavamo verso Mori Stazione accompagnate dalla signorina Nones, che nel frattempo si era messa in contatto con il comando tedesco locale e favorita dalla perfetta conoscenza della lingua tedesca, perché figlia di mamma tedesca, aveva ottenuto il permesso di fermata dei treni con trasporto prigionieri a Mori Stazione. E quindi ecco il nostro intervento. Mano a mano che arrivavano sferragliando alla stazione i convogli dei prigionieri noi si saliva sul treno in due per vagone, distribuivano i panini e da bere e senza farci vedere dalle guardie, consegnavamo ai prigionieri carta e matita per scrivere gli indirizzi delle famiglie. Si parlava un po’ con loro, si cercava di far loro coraggio, si raccoglievano gli indirizzi. Si scendeva dai vagoni e si attendeva il treno successivo. Dopo due o tre treni si ritornava a casa, perché eravamo sostituite da un secondo e poi da un terzo gruppo di altre ragazze. La signorina Nones era sempre lì ad accompagnare e a dirigere il servizio. Nel pomeriggio ci si riuniva in una casa o nell’altra e si scriveva “la triste comunicazione” alle famiglie dei prigionieri. La signorina Nones poi raccoglieva le lettere e le spediva. E così si fece per diversi giorni. Un mattino però, mentre eravamo ancora sui vagoni a fare il nostro servizio di distribuzione e di raccolta, il treno si mise inaspettatamente in movimento: prendemmo una grande paura, ma con le nostre grida e l’intervento immediato della signorina Nones il treno fu subito fermato e noi potemmo scendemmo impaurite e tremanti. Il grande spavento però non ci fece sospendere il nostro rischioso lavoro, ma puntuali ogni mattina eravamo lì ad attendere quei treni di prigionieri in transito. Quante sofferenze! Noi ci facevamo coraggio, ci sostenevamo a vicenda, ma le scene di dolore, di disperazione, di richiesta di aiuto erano tante davanti ai nostri occhi e dentro il nostro cuore. Nello stesso tempo le dimostrazioni di riconoscenza per quanto facevamo, le esclamazioni di lode, ripagavano il nostro ardire, sostenute da forti ideali e convinzioni. Tutto ciò è ancora davanti ai miei occhi e scolpito nel profondo di me stessa. Qualche soldato riuscì a scendere dal treno, scappare e dileguarsi subito verso i paesi vicini e chiedere aiuto alle famiglie. Ricordo che a casa mia bussarono diversi soldati bisognosi di tutto. Si dava ospitalità per più giorni e più notti. Subito si offriva da mangiare, si sostituiva la divisa militare con vestiti da lavoro e quando si sentivano pronti fisicamente e mentalmente, si accompagnavano con una zappa sulle spalle, come semplici contadini, per non destar sospetti, fino dopo la Montecatini. Da lì poi , presa conoscenza di itinerari sicuri prendevano i sentieri dei boschi e via verso i loro paesi e le loro famiglie. Noi si ritornava a casa con la zappa, soddisfatti di essere stati loro di aiuto. Analogo servizio umanitario lo ricordo in casa mia nei confronti di quei soldati che avevano optato per la repubblica di Salò. Giravano affamati anche per le strade di Mori. Ricordo davanti a me la lunga tavola di casa mia con attorno anche 18 soldati davanti ai loro piatti di polenta fumante accompagnata da carne e formaggi, il tutto rallegrato da un buon vino rosso. Certi hanno trovato ospitalità per più giorni. Dopo anni che era finita la guerra, c’è stato chi è tornato a ringraziare con la sua nuova famiglia portandoci anche dei doni, orgoglio delle loro terre di origine. “Il lavoro dell’insegnante deve far leva sulla sua competenza professionale, su una comunicazione creativa e sul senso dell’umana. Intelligenza quindi e sentimento: un tutto calibrato e libera da qualsiasi emotività. E’ l’emotività un ingrediente fastidioso e dannoso, che gonfia le situazioni sia di speranze sia di delusioni, controproducenti per un mirato rapporto professionale ed umano. Davanti ad un soggetto in difficoltà di apprendimento, l’insegnate deve saper cogliere nel tempo la situazione, “quella situazione di quel soggetto”. Deve saper cogliere cioè la realtà situazionale. Non illusorie esaltazioni, non rinunce per fatalità. “Io ti do quello che tu vuoi; ti do nella tua misura, per quello che tu sei in questo momento, perché, nel nostro rapporto, tu sia felice!” Anno scolastico 1983/84 - Trento Diploma di benemerenza di prima classe per l'istruzione elementare e materna cenni storici e normativa dell'onorificenza Insegnante elementare Data del conferimento: 22/10/1984 motivazione: Per l'opera particolarmente zelante ed efficace svolta a favore dell'istruzione elementare e dell'educazione infantile. |