RELAZIONE DELLA DOTT.SSA GIULIANA UKMAR, PSICOTERAPEUTA DELLE FAMIGLIA E DELLA COPPIA
PREMESSA
La Dott.ssa Ukmar ha sottolineato, con molta decisione, l'importanza di mettere in pratica la "pedagogia delle regole" abbandonata dopo la rivoluzione creatasi con la propaganda degli anni '60 (vedi Dott. Spock) dove si sosteneva che il bambino andava trattato come un piccolo adulto, lo si doveva ascoltare e non gli si doveva imporre più niente.
Questo ha spinto inesorabilmente a orientarsi verso un permissivismo esasperato e i genitori hanno perso per strada il ruolo di "educatori".
Un ragazzo senza regole non conosce alcun limite ed è in preda al delirio di onnipotenza che lo indurrà a crearsi una realtà su misura: vivrà un IO che invade, che si afferma a spese degli altri, non avrà doveri ma solo diritti e gli altri serviranno a qualche scopo oppure non conteranno nulla.
La Dott.ssa Ukmar ha presentato un'ampia casistica, analizzata attraverso la sua professione, di "bambini pestiferi": dal bambino enuretico a quello oppositivo, da quello che "non da pace" finché non ottiene ciò che vuole, a quello che si isola e non socializza ecc..; sono ragazzi che hanno sviluppato da un lato la falsa consapevolezza d'essere i più forti e, dall'altro, tutte le ansie e le paure che appartengono a chi, chiamato a comandare, sa di non essere all'altezza del compito.
La psicoterapeuta ha consigliato poi di fissare poche regole, utili e concordate, perché su tutto non si riesce a tenere, e una volta dichiarate devono essere stabili, non possono variare ed i genitori dovrebbero farle rispettare in qualsiasi situazione.
Questa "pedagogia delle regole" dovrebbe essere applicata anche all'esterno (la scuola, dovrebbe recuperare autorità nel poter momentaneamente staccare dal gruppo un bambino che non rispetta le regole di "convivenza" per aiutarlo a capire qual è il comportamento da tenere) e questo ha sollevato le perplessità di alcuni presenti che hanno sottolineato il rischio di creare emarginazione.
Il positivo incontro ha comunque rafforzato l'idea che non bastano le conferenze, ma che è necessario stimolare la nascita di percorsi formativi a favore di piccoli gruppi di genitori, dove dopo un'introduzione del tema da parte dell'esperto, ci sia spazio per momenti di confronto, riflessione personale e scambio di esperienze con sintesi finali fatte insieme ai genitori.
REGOLE E POTERE POSITIVO PER AIUTARE I FIGLI A CRESCERE
...Sono laureata in medicina, con specializzazione in neuropsichiatria infantile.
Prima di iniziare mi sono analizzata per quattro anni con metodo freudiano.
Dopo questi quattro anni non pensavo di diventare psicanalista dei bambini per alcune controindicazioni.
Un bambino con problemi non ha dei ricordi, dei fantasmi, dei sogni da andare a riportare in superficie, sui quali lavorare, un bambino con problemi vive 24 ore al giorno nell'ambiente che ha permesso il manifestarsi di questi problemi e il loro mantenersi.
Quindi, 24 ore al giorno contro mezz'ora, tre volte alla settimana di seduta terapica, è una lotta impari.
Altra cosa, non mi pare che il setting di terapia che io ritengo perfetto per un adulto, la famosa porta chiusa, la famosa stanza nella quale si possono dire tutte le cose, anche le più terribili che passano per la testa, sicuro che nessuno le porterà fuori, lo stesso setting fa acqua per quanto riguarda i bambini.
I bambini non sono all'interno della stanza, lasciano fuori dalla porta il papà o la mamma o tutti e due i genitori; un bambino non è ancora una persona completa.
Nei bambini molto piccoli si parla infatti di diade madre-bambino, come se fosse una cosa sola che ancora non si è separata.
Metà bambino resta fuori dalla porta e questo provoca molti pasticci, il primo dei quali è la terapia a metà.
La mamma ne è convinta, ma dopo due tre anni di terapia si consulta col papà, questi dice che si stanno spendendo un sacco di soldi senza che si sappia comunque cosa fare con il loro bambino.
È vero, ho constatato personalmente che indicazioni chiare ai genitori di questi bambini non ne venivano mai date, fatto che lascia i genitori spiazzati, perché sono dichiarati incompetenti e nessuno fornisce loro qualche competenza.
Questi sono i motivi per cui io ho deciso che non mi sarei fermata alla psicoanalisi.
Per fortuna in quegli anni Palazzoli aveva portato in Italia da Palo Alto (America) la terapia della famiglia ovvero la scuola sistemica.
Io mi sono fatta il training della terapia della famiglia e devo dire con soddisfazione, di aver trovato quello che faceva per me, il punto dove fermarmi.
Fermarmi per modo di dire, perché non ho smesso di frequentare corsi.
Da 25 anni ho due lavori e credo di avere anche due anime.
Lavoro infatti al mattino in una istituzione pubblica diurna, che raccoglie bambini con handicap grave e gravissimo, dai sei ai sedici anni, in un seminterrato.
Il pomeriggio faccio la terapeuta della famiglia in studio.
Circa una quindicina di anni fa stavo lavorando al mattino nell'istituzione per bambini gravissimi ad una ricerca sull'autismo con il professore Zappella.
L'autismo è una delle patologie psichiatriche più gravi dell'infanzia.
I bambini autistici sono bambini perfettamente normali, nati bene, senza grossi problemi, spesso molto belli, che iniziano una loro vita apparentemente normale, camminano, cominciano a parlare, a relazionare con l'ambiente, poi, improvvisamente, dai 18 ai 30 mesi, per una causa che non si conosce, chiudono la porta e si rintanano in una loro esistenza completamente privata, dove non è più possibile andare a recuperarli, chiudono insomma il rapporto con il mondo.
Passano il loro tempo spesso in un angolo, spesso isolati, fanno dei movimenti stereotipati, fanno delle costruzioni improbabili che a noi non riuscirebbero mai, con i dadi, con le carte.
Sono bravissimi a far funzionare qualsiasi apparecchio elettrico di casa, dalla lavatrice alla televisione ai vari registratori ecc..
.Adorano la musica.
Sono bambini con grosse potenzialità, ma questo è un mio parere, bambini intelligentissimi, superiori alla media e bisogna chiedersi se non sia proprio questo il loro problema.
Ecco, stavamo portando avanti una ricerca su questi bambini, una ricerca che prevedeva un protocollo con delle domande ai genitori che venivano da noi e tra queste domande una era fissa, bisognava rivolgerla sempre a tutti i genitori.
La domanda era: "Chi comanda in casa vostra?".
I genitori di un bambino autistico non avevano difficoltà a rispondere, ad ammettere che in casa loro comandava il loro figlio.
Era lui che decideva chi entrava e chi non entrava, chi poteva uscire, chi non poteva uscire, cosa si mangiava e cosa non si mangiava, quando andare a dormire, se si andava a dormire, perché qualche volta non si andava neanche a dormire.
Urlava tutta la notte.
Di pomeriggio andavo in studio.
Ero sempre io.
Evidentemente qualcosa mi restava appiccicato addosso.
Non si può chiudere completamente una porta.
Qui, tutte le volte in cui sentivo puzza di onnipotenza (l'onnipotenza del bambino autistico era una cosa ormai assodata), ponevo la famosa domanda: "Chi comanda in casa vostra?".
Ho dovuto rendermi conto che tutte le volte che facevo questa domanda a dei genitori con bambini con dei sintomi: fobia della scuola, incubi notturni, o bambini particolarmente vivaci, magari iperattivi, tutte le volte che facevo questa domanda, la risposta era sempre la stessa... "E beh, sa, adesso che ci penso, è vero che noi non decidiamo più niente, la zia Maria non può entrare più in casa perché sta antipatica a Pierino. E' vero che noi vorremmo metterlo a letto alle 20,30, ma lui sta in giro fino mezzanotte saltando sui divani.
Ma sa, che ha ragione!!!".
Tutto sommato, quello che comandava in quelle case era sempre il bambino, il bambino col problema. Se c'erano dei fratelli, quello che comandava era quello coi problemi.
Non erano gli altri.
Quando mi sono accorta di questa cosa, ho cominciato a fare la domanda costantemente a tutti i genitori che venivano da me e tutte le volte la risposta era sempre la stessa.
Quindi ho dovuto convincermi che i bambini che sviluppavano dei sintomi erano bambini onnipotenti.
Detto questo, però è detto abbastanza poco.
Non era una grande risposta da parte mia a quei genitori che venivano appunto da me a cercare una soluzione.
Fatta la diagnosi, la loro domanda era: "Adesso, cosa facciamo?".
E quindi si trattava di conoscere questa onnipotenza, di andarla a capire, perché questi genitori avessero perso per strada un po' il loro ruolo.
Se voi pensate soltanto, sessanta settanta anni fa, i bambini non solo non potevano decidere in casa qualcosa, ma molto spesso i genitori si facevano dare del Lei dai figli.
Anche mio nonno si faceva dare del Lei da mio padre e quando arrivava in casa lui, tutti filavano.
L'onnipotenza! Se fosse vivo adesso si metterebbe le mani nei capelli.
Per cui, cosa era successo, perché questi genitori si erano un pochino persi per strada?
A quei tempi io avevo dei figli piccoli, per cui il mio lavoro è stato decisamente facilitato.
Una faceva la materna, l'altro l'elementare, per cui ho avuto molta facilità ad ascoltare, a porre delle domande alle mamme, a sentire quali erano i problemi che c'erano in circolazione e fra parentesi, mi sono dovuta rendere conto che non tutti i bambini con sintomi erano bambini onnipotenti, ma c'erano tanti bambini onnipotenti in giro che ancora non avevano presentato nessun sintomo.
E quindi era forse il caso di fare qualcosa perché non lo presentassero mai.
Quello che sono riuscita a capire, ascoltando, guardando i bambini, guardando le mamme, guardando in che modo interagivano mamme e figli ai giardinetti, magari fuori dalla scuola, fuori dall'oratorio, mi sono resa conto che due gruppi particolari di genitori si ritroveranno con un bambino onnipotente.
E quali sono? I primi sono i genitori che rimangono incinti giovanissimi, quindici anni, magari un pochino onnipotenti anche loro, della serie "a noi non capita" , "figurati, capita sempre agli altri" e tract, restano incinti, magari vanno ancora a scuola.
Nel bene e nel male, non voglio fare un discorso in merito, forse al giorno d'oggi, dopo ci sono delle alternative.
Ai miei tempi, ad esempio, alternative non ce n'erano proprio.
Personalmente credo che non accetterei neanche oggi, se mi trovassi in quelle condizioni.
Un tempo si metteva su famiglia, 15 anni lei, 16-17 lui, un primo bambino subito, dopo 2 anni ancora un altro.
Cosa se ne fa uno a 19 anni di due bambini, magari uno attaccato al marsupio? Non se ne fa proprio niente.
Questi genitori si sentono un po' fregati dalla vita, hanno voglia di amici, hanno voglia di andare in giro, di andare in discoteca, hanno voglia di ballare, ma non hanno voglia di sacrificarsi, anche nel senso buono del termine, per i bisogni di un bambino piccolo.
Succede che questo bambino viene portato in giro, viene messo nei famosi zainetti ecc.. e poi si crea un circolo vizioso.
Il bambino diventa noioso perché magari alle undici, a mezzanotte vorrebbe stare nel suo lettino, al buio, al silenzio, invece si trova sulla passeggiata "Lungomare" a mangiare il gelato.
I genitori sanno benissimo che lui vorrebbe trovarsi nel suo lettino e quindi hanno molti sensi di colpa.
Appena il bambino piange i sensi di colpa fanno un corto circuito e allora il cavallino, la caramella, così non rompe, non rompono nemmeno i sensi di colpa, perché se il bambino piange, noi ci poniamo dei problemi, ma se non piange, va tutto bene.
Questo corto circuito può dare origine ad una costante richiesta del bambino e ad una costante concessione dell'adulto e nasceranno bambini onnipotenti.
La seconda categoria di genitori è una categoria molto più sfortunata, perché sono quelli bravi bravi, che finiscono le scuole, magari si diplomano, fanno anche l'Università, trovano il lavoro giusto, magari lo cambiano e ne trovano uno in cui guadagnano di più, poi si sposano, si comprano la casa, aspettano ancora un pochino, dopo decidono di fare un figlio e passano quei nove mesi a studiare.
Cosa normale per i futuri genitori.
Più bravi di così! Avrebbero pur meritato un premio. Invece no.
Perché dagli anni quaranta agli anni sessanta, settanta, cosa non è stato scritto, detto, passato per radio, in televisione, su come si allevano i bambini.
Visto a posteriori è da rabbrividire, a partire dal famosissimo Spock, che diceva che il bambino è un piccolo adulto, il bambino deve fare le sue esperienze, non bisogna frustrarlo, perché le frustrazioni dell'infanzia poi si ripercuotono sull'adulto, bisogna lasciarli liberi, noi dobbiamo imparare dai bambini...
In un certo senso, alcune volte può anche essere vero, ma quando può essere vero? Quando abbiamo costruito la bella cornice rigida, magari anche lavorata, possiamo tendere la tela e guardare com'è il teatro, allora quel quadro ci dirà tante cose.
Ma fino a quando quel quadro lo teniamo per un angolino, come se fosse uno straccetto, non riesco a vedere cosa c'è su.
E la stessa cosa succede per i bambini.
Quando i bambini sono belli, calmi tranquilli, che poi sono così piacevoli da starci insieme, allora i genitori hanno voglia di star con loro, di parlar con loro, di portarseli a spasso, ascoltarli.
Allora sapranno che cosa piace al bambino, se è portato per la pittura, che sport gli piacerebbe fare.
Però questo si può fare soltanto quando si hanno dei bambini tranquilli, ubbidienti, che hanno capito come va il mondo, che si sono adeguati a quelle che sono le normali regole di vita. ...
Stavamo parlando delle sfortunate categorie di genitori che si ritrovano con figli onnipotenti.
C'è un'altra categoria, questa volta di figli, non so nemmeno io come catalogarla, diciamo che è una cosa che succede e che fa diventare onnipotente un bambino.
Un bambino, per motivi "x", che sono i più svariati, diventa "poverino".
Se ad un bambino, si dice poverino, l'abbiamo già mezzo fregato.
Perché deve essere poverino un bambino? I motivi sono i più diversi, molto spesso un bambino è poverino perché ha avuto un parto difficile.
Magari non ha proprio altro e si è temuto per la sua vita.
Forse anche per il solo fatto che il pediatra ha avuto la malaugurata idea di dire "staremo a vedere".
Staremo a vedere cosa? Se ci sarà qualche cosa da vedere, si vedrà, è giusto non dirglielo prima, ma i genitori si mettono lì, con i fari puntati su questo bambino.
Diventa già un bambino poverino, perché non potrà più alzare il dito mignolo invece del pollice che i genitori alzeranno le antenne e incominceranno a dire, cosa c è che non va? E gli fanno fare gli esami, contro esami ecc.. Bravissimi genitori.
Però questo bambino viceversa chiederà i risarcimenti per cui diventerà un bambino con tantissime richieste, e siccome è poverino, con quello che ha passato.... si dirà sempre di sì.
Ci sono i bambini che hanno avuto delle convulsioni febbrili da piccoli, che non è neanche una malattia.
E' una cosa che succede, i bambini piccoli hanno il sistema nervoso non ancora completamente sviluppato per cui è più reattivo, per cui può capitare che dopo un giorno e mezzo di quaranta e due di febbre venga fuori una convulsione.
É vero, è tutto vero, però io vi posso garantire, perché ci sono passata, che trovarsi fra le braccia un bambino completamente blù-nero, che non respira più, completamente rigido e che tu pensi che stia per morire...
Io facevo già la specializzazione quando mi è successo con mia figlia, io sapevo benissimo tutto: sapevo che era una crisi convulsiva, sapevo che non era pericolosa, sapevo tutto, ma non me ne importava niente perché per me in quel momento mia figlia stava morendo.
Queste ferite sono durissime da rimarginare, bisogna proprio agire con una certa forza e non sempre, le mamme soprattutto, se non sanno di cosa si tratta, sono capaci di agire con una certa forza, ma neanche i papà che sono stati presenti al fatto, per cui la litania diventa: "No, poverino, che non gli venga la crisi", Che non c'entra niente perché gli potrebbe venire soltanto con la febbre, ma si ha paura e via..., dai il giochino a tuo fratello, se no gli viene la crisi, prendilo in braccio che piange, se no gli viene la crisi, dagli questo e quello se no gli viene la crisi e alè... il gioco è fatto.
Poi ci sono quelli che sono tutto la loro nonna Giuseppina, maledizione che si auto-avvera.
Una volta in studio mi sono arrivati due giovani genitori con una bambina di tre anni, stupenda.
In genere i bambini non li vedo mai perché non mi fa piacere far nascere in loro un senso di malattia quando non è necessario; poi, per carità, se uno mi viene a dire, mio figlio ha le crisi epilettiche, è chiaro che vedo anche il bambino.
Però, quando sento puzza di onnipotenza, evito, perché uno dei grossi problemi nei bambini è proprio quello di essere portati a riparare e questo fa in genere più male della rottura, quando anche questa rottura ci sia, per cui in genere io dico ai genitori, venite da soli, per tutto questo e anche perché parlare davanti al bambino non è cosa molto utile.
Questi sono arrivati con questa bambina bellissima, allora entriamo in studio, la bambina la mettiamo a giocare e mi raccontano la storia di questa bambina che li faceva disperare, anche all'asilo non voleva mangiare, non ci voleva andare, ma soprattutto faceva scene, si buttava in terra, sputava, diceva parolacce, pestava i piedi ecc..ecc..
Da come la descrivevano, sembrava un po' una indemoniata.
Morale della favola, siccome vedevo che questa bambina allungava gli orecchi per sentire tutto quello che dicevamo, ho detto, andate a casa ed aggiorniamoci tra quindici giorni e quando tornate non portate Alice.
A questo punto si sono alzati, hanno preso il cappottino ed hanno detto: "Vieni Alice, che andiamo dalla nonna".
Questa si è sbattuta per terra, ha incominciato ad urlare, a battere i piedi e come la mamma si avvicinava, lei aumentava il tono.
Mamma e papà due pezzi di gesso, sudati, bianchi, fermi immobili, lei che urlava lì in mezzo, loro che la guardavano e io che guardavo loro.
Era l'ultima ora della giornata, per questo mi sono permessa di restare a guardare come andava a finire.
Io sono rimasta a guardare loro e loro a guardare Alice.
Dopo tre quarti d'ora mi sono stufata, allora ho preso il cappottino, ho preso Alice, ho preso un calcio negli stinchi, mi sono presa della brutta troia dalla bambina, ma sono riuscita a mettere tutti fuori sul pianerottolo.
Poi mi sono messa a scrivere le mie cartelle.
Dopo venti minuti esco e trovo ancora Alice sul primo pianerottolo, ferma, i genitori erano a fine scala a piano terra che dicevano: "Ma dai, Alice, vieni che andiamo dalla nonna che ha preparato la pappa".
A questo punto ho messo tutti fuori dalla porta completamente.
Però, quello che mi rimaneva in mente, era un grandissimo punto interrogativo.
Che cosa era successo? Perché, va bene la sceneggiata, ma una roba del genere... Dopo quindici giorni, appena i genitori si sono seduti, praticamente gli sono saltata addosso, perché non ne potevo più dalla curiosità e gli ho chiesto: "Ma cosa è successo la volta scorsa?" Assolutamente al di là di ogni mia previsione, la madre è tornata bianca, sudata, con gli occhi pieni di lacrime, il padre rosso, sudato, che mi guardava come dire, questo argomento non si tocca.
Io pensavo, cosa siete venuti a fare da me, allora? Per fortuna invece l'argomento l'avevo toccato, la signora è scoppiata in lacrime e si è messa a dire tra i singhiozzi: "Ma lei non sa, lei non può capire, Alice è tutta mia madre, mia madre urlava così prima che la ricoverassero in manicomio, mia madre urlava così e poi ci picchiava e io me la ricordo così.
Alice è come mia madre e finirà anche lei in manicomio".
Questa era la storia che c'era alle spalle di questa bambina.
Bambina per altro assolutamente sana, terribilmente spaventata.
Mettetevi nei suoi panni, uno tira un urlo, perché all'inizio sarà stato anche un urlo, solo un urlo probabilmente e la madre si mette a guardare con gli occhi spiritati, diventa bianca, e tutta con gli occhi pieni di lacrime.
Uno, cosa pensa? Mettiamoci nei panni della bambina.
Questa forse era anche piccola per elaborare un pensiero chiaro, ma certamente la paura le è venuta, se soltanto avesse avuto cinque anni al posto di tre, avrebbe già pensato: o sto per morire, oppure sono cosi pericolosa io, che mia madre ha paura di me e allora diventa un'angoscia senza fine, non ci sono più confini per una angoscia del genere.
Vi sintetizzo la fine, perché mi pare molto carina.
I genitori di Alice sono venuti ancora per un sei mesi per tutti gli altri problemi del cibo, dell'asilo, però, dopo un'ora spesa a spiegargli che le malattie psichiatriche non sono ereditarie, che questa bambina era solo una povera bambina che stava aspettando due genitori che le dicessero cosa doveva fare su questa terra, perché lei non lo sapeva, dopo che ho spiegato loro quale poteva essere l'ansia di questa bambina, quando veniva guardata in quel modo, insomma ho impiegato un'ora, ebbene Alice, da quel giorno di scene così, non ne ha più fatte.
Questo vuol dire che non aspettava altro, povera bambina.
Allora abbiamo visto come si fa a diventare onnipotenti.
A questo punto bisogna spiegare ai genitori come si fa a riprendere un po' il bastone del comando.
Bastone del comando che al giorno d'oggi si è trasformato nel telecomando.
Chi ha il telecomando in casa ha il potere.
Io ho sentito dei padri dire ai figli di tre anni: "Dammi, per piacere, un attimino il telecomando, che devo guardare il telegiornale" "No , ci sono i cartoni" è stata la risposta.
E le mamme che dicono, ma poverino, ci sono i cartoni.
...C'è qualcosa che non funziona.
Allora come si fa ad aiutare dei genitori che hanno perso il timone, facciamo finta che siano su una barca a vela e sono lì in mezzo al mare che vanno dove tira il vento.
Ci vuole un timone, ci vogliono due idee chiare, mica poi più di tante, ci vuole il permesso certe volte, perché le idee chiare molti genitori ce le hanno, non si danno il permesso di averle, perché? Perché hanno letto troppi libri...
Quindi mi si poneva proprio questo problema.
Fatta la diagnosi, come facciamo ad aiutare questi genitori? Io la penso in un modo, Spock la pensava in un altro, c è chi dice, in un modo o nell'altro, i bambini crescono, poi c è anche chi dice, tanto crescono da soli.
É vero, crescono da soli in altezza, in peso, in materia grigia mica sempre.
Allora cosa possiamo fare per farli crescere bene? Perché è così importante? Perché nel frattempo è venuta fuori una cosa ed è il dopo.
Perché non è la stessa cosa fare i permissivi o fare gli autorevoli? Non gli autoritari che servono a poco perché in genere loro sono debolissimi.
Perché c è differenza nel futuro, una enorme differenza nel futuro.
I bambini che hanno avuto una educazione troppo dura, con troppe regole, e poi vedremo che tipo di regole, perché non basta mica mettere delle regole a caso, ci sono i no che aiutano a crescere e ci sono i no che ti fregano, perché bisogna stare anche molto attenti.
Allora, perché è così importante , perché, chi ha avuto una educazione troppo rigida, da grande avrà dei problemi, problemi di tipo nevrotico.
Cosa è un nevrotico? Il nevrotico è uno che magari cammina stando attento a non pestare le righe che dividono le piastrelle, si lava le mani quarantacinque volte al giorno, di sera prima di andare a dormire torna a vedere se ha chiuso la porta di casa tre volte e magari ha anche qualche rituale del tipo tre volte a destra quattro a sinistra, o quello che quando deve fare una certa cosa si mette sempre quella camicia, non solo come portafortuna, ma per il nevrotico se non c'è perché è sporca, succede una tragedia.
I nevrotici sono questi.
Sono persone che certamente non hanno una vita comodissima, ma hanno comunque una vita, e la nevrosi non ruba la vita alla persona, la persona nevrotica studia, lavora, si sposa, ha dei figli, dovrà stare attento a che regole mette, però la sua vita se la fa, poi potrà decidere se andare in terapia, se prendere degli psicofarmaci, se continuare a lavarsi le mani quarantacinque volte al giorno; nessuno però gli ruba la vita.
Anche se si tiene la sua nevrosi, vive lo stesso.
Parliamo ora di coloro che non hanno avuto dei no.
Cosa succede ad un ragazzo, ad un adulto che è stato un bambino onnipotente? Il bambino onnipotente invece ha la sensazione che la realtà è così, ma può anche essere cosà; se io frigno un po' di più la caramella me la danno, se io non voglio la pasta e fagioli, la mamma mi fa la pastasciutta.
Loro vedono una realtà che si sposta al loro passaggio, che è così, ma potrebbe essere cosà, che non è una cosa con cui fare i conti ma una cosa che si può modificare, e questa è la matrice della psicosi.
Esempio fondamentale è la schizofrenia, una patologia dove la persona si crea una sua realtà, dove sta meglio, dove c'è più logica, secondo lui, della realtà normale, la realtà normale non ha mica importanza.
Il bambino onnipotente dice, la realtà, quella vera, non è mica importante, la cambio io.
E allora all'estremo, (ovviamente parliamo di limiti estremi) con l'educazione eccessivamente permissiva abbiamo tutte le malattie psichiatriche a fondo psicotico, quelle che la vita la mangiano, perché i giovani si drogano, perché le ragazze diventano anoressiche, schizofrenici, grossi delinquenti.
Queste patologie non lasciano vivere bene, si mangiano l'individuo, l'individuo non può lavorare, non può finire gli studi, non si sposa, non avrà dei bambini, sarà come se non ci fosse stato.
Questa è una cosa, secondo me, bruttissima, perché la vita è una delle cose più belle che ci siano.
La perdono così, per un errore di percorso, per una cosa che veramente si può evitare.
Questo a me fa molto male, per questo ci tengo molto a fare questi incontri, a parlare con i genitori e ad essere capita.
Secondo me, visto che è impossibile essere perfetti, cerchiamo di tenere la via centrale.
Ma se dobbiamo cadere da una parte o dall'altra, cerchiamo di cadere dalla parte dove c'è una regola in più, invece di cadere dove c'è una regola in meno, perché certamente faremo meno male ai nostri figli.
Allora, a questo punto mi trovavo nella necessità di dare una mano a questi genitori perché non succeda questa cosa e qual è la cosa più semplice per recuperare un ruolo in una famiglia? Cominciare a utilizzare le proprie conoscenze poiché da lì partiremo; perché le regole le deve mettere il papà e non il bambino, il papà che ha 20-30 anni di più, e perché no, anche la mamma, perché ne sanno di più, perché sanno cosa va bene per il loro bambino.
L'importante è che loro sappiano questa cosa, se ne rendano conto di sapere di avere qualcosa da dare al loro bambino e quindi partiremo dalle regole.
Quali? Qualcuno le chiede a me, ma io non posso sapere le regole che valgono per il signor Bianchi o per il signor Rossi.
Posso dire che sono regole particolari che vanno studiate per ogni famiglia e devono essere mediate tra le esigenze della mamma e quelle del papà, possono coincidere, ma non è detto che coincidano; e se non coincidono, devono essere prese in considerazione entrambe, perché altrimenti il genitore che viene lasciato fuori dalla porta, si vendica e boicotta la realizzazione del progetto.
Le regole devono essere poche perché altrimenti non ci si sta dietro; la regola va fatta rispettare.
Mi capita alcune volte di vedere "I Simpson" con i miei figli.
Un giorno mi è capitato di vedere l'episodio in cui la mamma e il papà di Bart vengono convocati dall'insegnante.
Ad un certo punto la mamma dice al papà di dargli un castigo tutte le volte in cui il figlio fa qualcosa di sbagliato.
La scena si fa bella, quando Bart ne compie una delle sue e il papà gli dice, ora ti castigo.
Il piccolo ribadisce: "E' vero papà che tu potresti castigarmi ma dovresti pensare un castigo, assicurarti che io lo faccia, seguirmi per... non è più semplice sederti davanti alla televisione a guardarti il tuo programma preferito?".
E il papà dice... sì, è vero, vai a giocare.
Lo spezzone sottolineava il fatto che fare i genitori è un lavoro, non è una roba che si fa perché i bambini crescono da soli, è un lavoro grosso e le regole devono essere poche, perché altrimenti cadete strada facendo, non ce la fate; poche e utili, ma non regole messe lì per tutelare le ansie di qualcuno...
Il "non esci con i tuoi amici, perché se no sto in ansia".
Dove sta l'utilità di una regola di questo tipo? Lo teniamo il figlio sotto chiave fino alla maggiore età e quando, a 18 anni apriamo la porta, non sa nemmeno attraversare con il verde.
A questo punto non si capisce se la regola viene data per tenere tranquilla la mamma, la quale altrimenti deve andare a dormire tardi, perché, se la figlia va in discoteca, deve andare a prenderla.
Dire di no per tutti questi motivi... queste non sono buone regole.
Diversa è la faccenda se alla figlia si dice, no, tu non vai in discoteca, perché hai soltanto 13 anni, oppure tu non vai in quella discoteca perché è mal frequentata.
Non valgono nemmeno le regole che possono essere dettate dalla nevrosi del padre o della mamma, che magari avevano il papà che di regole ne metteva troppe.
E allora si lavano le mani quaranta volte al giorno e pretendono che i figli si lavino le mani 40 volte al giorno.
Mi è capitato un fatto così: una signora problematica faceva la doccia ai figli alle sei di sera e dopo con il pigiama pulito non potevano toccare più niente. E' un delirio.
Non è arrivata la signora da me, è arrivata la figlia anoressica a 8 anni.
Un'altra madre venne a dirmi che per ciò che riguardava le regole, era tutto a posto: da quando era nata la bambina, aveva letto il mio libro, l'aveva vestita di rosso o di blu, non le aveva dato mai la nutella, non le aveva tagliato mai i capelli.
La figlia, chissà perché, aveva però ugualmente dei problemi. Ma sono regole quelle della signora?
Riepiloghiamo, occorrono poche regole, utili o alla famiglia o al bambino, regole che servono a qualcosa, mediate tra la mamma e il papà e a durata illimitata da una parte, salvo modificarsi con l'età dei figli.
Non possiamo inventare regole per andare a dormire ogni settimana.
Se si decide che un bambino vada a letto alle 8,30 di sera, saranno sempre le 8, 30, perché quella è una regola.
Quando alle 8,15 si mette il pigiama, si può dare una tantum per vedere un film, solo se la regola è già entrata dentro, è stata digerita e assimilata, altrimenti si torna indietro, quando si torna indietro, ripercorrere tutto non è la stessa cosa, ci si mette il triplo di tempo, è come se i ragazzini avessero proiettato il fatto nel futuro, per cui se ci provano, ci riescono, ce la fanno e allora saranno resistenti.
Messe le regole, cosa si deve fare per farle applicare.
Alcuni genitori infatti mettono le regole, ma non riescono a farle rispettare dai loro figli.
Questo è il vero problema.
A tal proposito tenete sempre presente la storia del divieto di sosta.
Fino a poco tempo fa la multa era di 20.000 lire e le macchine li lasciavano ugualmente in divieto di sosta.
Adesso si pagano 50.000 lire, ma le cinquantamila stanno diventando come le ventimila.
Se per esempio, bisogna lasciare libera la strada quando si tratta del lavaggio della stessa, a Milano le persone scendono in strada l'ultimo momento e spostano la macchina per non prendere la multa, poiché è di 120.000 lire.
Poi c'è la perversione: le ganasce alle ruote.
Se uno parcheggia in centro, dove abita un personaggio famoso, allora i vigili mettono le ganasce alle ruote, che vuol dire mezza giornata di lavoro, perché bisogna andare a pagare la multa in centro, chiamare il carroattrezzi, ritornare sul luogo del misfatto, togliere le ganasce e finalmente si è liberi.
Secondo me, potrebbe andare bene per un passaggio con il semaforo rosso, mica per il divieto di sosta.
Riportiamo il discorso ai nostri figli, se ci sono delle regole, ci devono essere delle multe.
La multa deve essere un castigo, qualcosa che colpisca il ragazzino in qualcosa che gli preme, che lui abbia tutto l'interesse a non fare accadere, in modo che gli sia più utile stare alla regola, che non stare.
Insomma il castigo deve essere più importante della soddisfazione che ogni tanto i ragazzi si prendono, di fare arrabbiare il papà o la mamma.
Non deve mai arrivare alle ganasce alle ruote.
Un castigo non deve mai essere più cattivo della regola infranta, deve essere sempre a livello, se no che senso ha.
Fare i genitori allora implica avere tanta fantasia e tanto senso dell'umorismo.
Si tratta d'essere un po' creativi, tante volte per trovare delle idee creative può essere utile far lavare i vetri di tutta la casa.
La prima volta gli piacerà anche, la seconda ci penserà sei volte.
Adesso vorrei aggiungere rapidamente due cose su due argomenti importanti: le nonne e la scuola.
Perché ho nominato insieme la nonna e la scuola? Perché hanno punti in comune.
Se, per esempio, si decide di andare in viaggio in Turchia, se si vuole entrare nelle moschee, bisogna togliersi le scarpe e anche voi lo farete.
Da ciò possiamo capire che ogni Stato ha le sue regole e i suoi castighi.
In Italia si possono fare delle cose che in Turchia non si possono fare.
Per questo nonne e scuola sono legate, sono Stati diversi, dove vigono altre regole che devono essere rispettate, come quelle di casa.
Perché in altri stati ci sono delle autorità che hanno il dovere di mettere quelle regole o di non metterle e di mettere i relativi castighi o di non metterli.
E' molto semplice per quanto riguarda la scuola, lo è molto meno per quanto riguarda le nonne.
Anticipo alcune domande: cosa succede se il capo dello Stato A chiamasi nonna, se invece di stare a casa sua, dove far saltare il nipotino sul divano bianco e non gliene frega niente, forse perché aspettava un maschietto da tre generazioni, va a tenere suddetto nipotino nello Stato B, che è la casa dei genitori?
Un bel pastrocchio: questa è una cosa che io sconsiglio altamente; ognuno stia a mettere le regole a casa propria... Perché è difficile?
Io dico sempre, provate a mettervi intorno ad un tavolo, provate, la cosa più semplice sarebbe che le regole dello Stata A valessero anche nello Stato B, nello Stato C ecc..
Ma, ahimè, le nonne sono le mamme o della mamma o del papà e in quanto tali hanno dei contenziosi, c'è una storia alle spalle di queste persone e purtroppo tra la nonna della mamma, per esempio, la mamma e il bambino, si crea molto spesso lo stesso triangolo che si crea tra mamma, papà e bambino.
Il bambino viene utilizzato a suo rischio, pericolo e danno, per far pagare o far vedere di vincere una lotta che è annosa, che dura da tanto fra la mamma e la sua mamma: stessa cosa, pari pari, la posso dire tra il papà e la sua mamma.
I nonni maschi, tanto di cappello, perché in genere si fanno i fatti loro.
Magari ci sono le eccezioni.
Non discuto, però, per quel che ho visto io, sono proprio bravi: si prendono i nipotini, se li portano ai giardini, li portano in bicicletta, però, in linea di massima, non hanno un granché da far rivalere sui figli.
Non lo so, probabilmente sarebbe opportuno che questi adulti, mamme , papà, nonne e anche nonni si mettessero ogni tanto intorno ad un tavolo e pensassero a concordare alcune regole.
Per cui, andare a dire ai figli che non capiscono niente, che non valgono niente, si offendono e poi la fan pagare.
Però e qui mi rivolgo alle nonne, cosa avreste detto, se ai tempi vostri, la vostra suocera o mamma fosse venuta a mettere il naso, non lo mettevano una volta il naso, perché adesso dobbiamo star sempre lì a dire no, faccio meglio io, no, la merenda gliela do io, perché se no non mangia e magari quei poveri genitori sono lì a fare tutta una trafila per fargli provare il pesce, il pesce che non vuol mangiare e invece il pesce fa bene, poi va dalla nonna, si mangia il pane e nutella, alle sei e mezza, il pesce della sera va ovviamente buttato via.
Perché, cosa c'è sotto? La paura che il nipotino perda due etti? No, non ci credo neanche se me lo giurate.
Questo lo lasciamo alle domande, torniamo un attimo alla scuola, la stessa cosa succede con la scuola, allora perché andare a dire, la sua maestra non capisce niente, se la maestra pretende di far mangiare il minestrone a 15 bambini di tre anni (qualche volta può sembrare masochismo!) e a casa il minestrone si può lasciare nel piatto.
Non è neanche una furbata, perché se voi dite, la tua maestra non capisce niente, lei a scuola è l'autorità, è quella che può mettere le regole.
Se si può dire che l'autorità è discutibile, i nostri bambini che sono molto intelligenti, grazie anche alla televisione che quando bene usata è un gran bello strumento, fanno presto a fare uno più uno, se il papà mette in discussione la maestra, io posso mettere in discussione il papà, e la prossima volta che il papà dirà qualcosa, lui dirà, per me non è così.
Quindi non bisogna mettere in discussione l'autorità, bisogna sempre salvarla, sempre e soprattutto quella dei genitori.
Bisogna salvarla con tutto quello che sta succedendo adesso, con tutte le separazioni che stanno avvenendo.
Nel pomeriggio scorso ho avuto in studio un papà che mi ha raccontato una storia talmente assurda che non so se sia vera.
Pare che il papà sia andato a comperare degli stivalini alla figlia, glieli abbia fatti scegliere... dopo di che la figlia li ha messi, perché era col papà.
Poi è andata a casa, è andata a dire alla maestra all'asilo: "Ah, il mio papà mi ha comprato degli stivalini bruttissimi, la mamma ha detto che fanno schifo e che non me li farà mai mettere"
E storie analoghe, perché me ne ha raccontate parecchie di queste cose, non so nemmeno se siano vere.
Mi sembra così assurdo che una mamma possa non capire quanto male fa a un bambino distruggendogli la figura del padre, però anche viceversa, perché i padri non sono meno carini di così.
La frase "quella troia di tua madre" è un classico, credete.
Io trovo che sia una cosa vomitevole, ma è classico, all'inizio delle separazioni.
Ma che senso ha? Questo innanzitutto: nessun genitore deve mai mettere in discussione per nessun motivo la figura dell'altro genitore, mai, nemmeno se questo è stato il partner peggiore del mondo, prima di tutto ricordatevi, una qualsiasi persona può essere un partner pessimo e contemporaneamente un buon genitore e poi, comunque, anche se fosse un cattivo genitore, noi dobbiamo aiutare i nostri figli a interiorizzare invece un genitore buono, almeno finché non avranno 16-18 anni e si accorgeranno da soli di che pasta è fatto, ma se ne accorgeranno loro e a questo proposito non mi stancherò mai di dire, porca miseria, prima di sposarvi e di fare dei figli, ma state attenti perché adesso c'è la separazione e quindi uno, di chi sposa , può anche abbastanza fregarsene, ma mentre noi possiamo separarci, i nostri figli non si possono mica separare dal padre o dalla madre.
Quello che gli abbiamo dato, resterà quello per tutta la vita e allora se poi facciamo i giochini di dire, quello stronzo di tuo padre e quella... di tua madre ecc.. ma non potevano mica pensarci prima.
Il rispetto di un genitore con l'altro, dei genitori verso i nonni non deve venire mai meno.
Non è detto che debba essere oro colato, quello che dicono i nonni, per carità, ma la figura del nonno e della nonna va tutelata, la figura dell'insegnante va tutelata, le figure autorevoli dei nostri figli devono essere rispettate anche da noi, altrimenti i nostri figli non la rispetteranno, ma non rispetteranno più neanche noi.
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